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St. Louis e la dura legge del baseball.

8 Giugno 2015

Saint LouisSe Parigi val bene una messa, St. Louis val bene una partita di baseball, anzi un inning, che equivale alla massima durata dell’attenzione dell’individuo medio a una partita di baseball.
Questo ovviamente se non siete americani, e ora vado ad argomentare.

Ci siamo lasciati la scorsa puntata alle soglie dell’ameno ghetto di questa tranquilla città, con Lidia che tentava di decifrare le indicazioni del navigatore, io che cercavo di frenare senza pestare col piede sinistro ed entrambe che tentavamo di non farci tagliare la gola appena arrivate dai loschissimi individui che popolavano la zona dove le indicazioni continuavano a farci sbattere.
Ebbene sì, St. Louis ha una periferia bruttissima, pericolosissima e sconsigliatissima soprattutto se siete due ragazze italiane e bionde.
Non che questo ci abbia intimorito visto che, lasciate le valigie in hotel e non paghe del pessimo primo impatto, abbiamo deciso di camminare per strade deserte e buie fino all’ipotetica downtown.

(alcuni giorni prima)
– No papà, stai tranquillo, non andremo fuori la sera.
– Magari giusto due passi dopo cena, ma ci terremo fuori dalle zone pericolose, figurati.
– Poi saremo stanche, ci mancherebbe, torneremo di corsa in hotel e andremo a letto presto.

“Abbiamo guidato cinquecento kilometri e ci meritiamo una birretta” dico a Lidia che, entusiasta, accetta.
Il problema si pone subito di fronte a noi, lampante: dove ce la beviamo questa birretta?
All’orrendo pub irlandese vista tangenziale?
Al bar che ci rifiuta perché è in corso un evento privato?
Alla catena supertrash che pompa musica a manetta, con avventori dall’aria più triste di un Capodanno 1997?
La scelta si fa ardua, lo sconforto comincia ad assalirci.
Procediamo spedite nell’esplorazione della città e c’è sempre un individuo a metà fra l’ubriaco e il borderline che continuiamo ad incrociare sistematicamente. Ed è a questo punto che scatta forse la prima esperienza da viaggiatore-non-turista di questa vacanza: decidiamo di non soccombere all’amarezza, non ci diamo per vinte e proseguiamo alla scoperta di quello che potrebbe rivelarsi l’ultimo posto che vediamo in assoluto nella nostra vita oppure un’opportunità. Si rivelerà proprio questo perché, dopo alcuni kilometri di marcia, scopriremo dove sono spariti tutti.
No, non siamo in una puntata di Leftovers: stanno giocando i St. Louis Cardinals e tutta la città, nessuno escluso, è allo stadio.

Il Busch Stadium però, ci terrei a dirvelo, non è uno stadio come può essere inteso qui a casa nostra: struttura sportiva, con ingressi e attrezzature atte a facilitare la visione dello sport che va ospitando, con servizi minimi per la sopravvivenza (leggasi bagni e bar, con variante uomo dei brustulli o caffè Borghetti se si è a Bologna).
Il Busch Stadium è un centro commerciale con (plurale) negozi, ristoranti, discoteche, studi televisivi, tutti intorno al campo da baseball.
Ah sì, c’è anche un toro meccanico.

Sul toro meccanico, sulle regole del baseball e su chi e cosa ci ha spinte a scatenarci in danze sfrenate potrei spendere mille parole, ma conservo tutto qui nel cuore, nella mente e nella memoria dell’iPhone
(una signora non rivela mai certi dettagli)
(e comunque lunga vita a un popolo che balla sulle note dei successi di Shania Twain)
vi basti sapere che a St. Louis il manzo lo danno via al quintale e non parlo solo di tori meccanici.
(che sono gli unici manzi con cui si è intrattenuta Lidia, lo dico casomai arrivasse qui il suo fidanzato a leggere: è una santa donna)

Note turistiche: St. Louis è famosa per questo bellissimo arco che tutti fotografano e vicino al quale è pressoché impossibile parcheggiare. Io dico che qualche scatto e 5 minuti di sosta con le doppie frecce possono bastare, a meno che non vogliate salire, in questo caso è un altro discorso (sì, sembra sottilissimo ma in realtà c’è l’ascensore che porta in cima – non adatto a chi soffre di vertigini come la sottoscritta). E questo è tutto ciò che ho da dire sul Gateway Arch.

Se invece vi siete chiesti dove fosse il bellissimo coniglio gigante con cui mi sono fatta fotografare in più posizioni, sappiate che si tratta del City Garden, da non confondere con il Missouri Botanical Garden che scopro solo ora essere famosissimo e noi invece abbiamo perso due ore a provarci cappellini con veletta in un negozio di usato, ma tant’è, s’era premesso che questa non era una guida seria.

Del meraviglioso Tennessee, di Nashville e della tappa nell’amena località di Johnston ve ne parlerò alla prossima puntata.
E, in quell’occasione, non dimenticate per nessun motivo al mondo di chiedermi la ricetta del Bourbon Cajun Ribeye.

LdC

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