malinconie | up close and personal

Dalla vostra inviata è tutto.

2 Novembre 2015

Nel settembre 2001 quando è successo quello che tutti sappiamo perfettamente, tanto era lo sgomento che provavo di fronte alla prima vera tragedia di grande portata a cui assistevo da adulta -della strage alla Stazione di Bologna, Ustica, Capaci e varie altre ho per lo più ricordi di bambina e adolescente- e, complice il fatto che mi trovavo esattamente lì pochissimi mesi prima, tanto ho empatizzato che non sono riuscita a spegnere la televisione per tre giorni.
Allora Internet era davvero agli albori, almeno qui in Italia, e i social network non sapevamo neanche cosa fossero, quindi gli inviati dal luogo della strage in collegamento 24 ore al giorno erano il mio contatto con quell’evento da cui non riuscivo, per qualche motivo assurdo, a staccarmi.
(non saprei ancora dire perché mi prese così male, confesso)
(ma è evidente che ancora oggi ci sono cose che mi prendono peggio del necessario)

Incredibili gli scherzi che fa la mente: negli ultimi tempi mi è capitato di ripensare a quegli stanchi, spossati, stropicciati giornalisti mentre non riuscivo a staccare il pensiero da cose dette, cose fatte, cose scritte, insomma un vero e proprio loop tutto ciò che mi è rimasto impresso come quando lascio troppo a lungo un fermo immagine nel plasma del salotto. Mi sentivo letteralmente sfinita come una reporter che trasmette dal luogo del della strage: ogni energia concentrata sulla diretta e mai una sosta, sempre in onda, sempre costantemente condannata a rivivere i momenti salienti della tragedia.
Questo fino a qualche giorno fa.

Poi giovedì è successa una cosa e probabilmente è stato merito suo se venerdì pomeriggio, quando sono uscita prima dall’ufficio perché avevo degli appuntamenti e c’era il sole, c’erano 17 gradi, per radio passavano Eye in the sky, mentre percorrevo la San Carlo per la prima volta da molti giorni, ho sorriso perché mi sentivo veramente, inconcepibilmente, nuovamente bene.
Nello stesso momento, come per magia, mi sono accorta che avevo staccato per un attimo il collegamento dal luogo della strage.
Da lì in poi sono seguiti altri piccoli blackout sulla linea, sempre più frequenti, sempre più lunghi: il che non significa che mi rimandino a casa, anzi, l’intenzione sembra quella di volermi tenere lì ancora per un po’. Ma almeno ogni tanto hanno pietà di me, mi mandano dietro le quinte a riposare, a rifarmi il trucco, a cambiarmi d’abito, a posare cuffie e microfono.

Dopotutto il segnale, si sa, va e viene.
Ma soprattutto niente dura per sempre, nemmeno la tragedia.

LdC

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