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LaLa

10 Febbraio 2017

Volevo dire che a scrivere le recensioni dei film che vedo, anche qui nel blog, ci ho provato varie volte e poi ho lasciato perdere perché non è il mio mestiere, non conosco i tecnicismi del cinema e in questo specifico caso c’è lui che ha scritto già tutto quello che avrei voluto dire, non era il caso di provarci neanche. Tuttavia, ci tenevo ad appuntarmi qui una cosa, un’osservazione su La La Land, e per farlo devo parlare di un altro film.

“2012” è un mediocre blockbusterone uscito nel 2009 che racconta dell’arrivo dei Maya e di tutte le profezie di cui si parlava all’epoca, non è che un film catastrofico come ne avranno fatti già a centinaia, senza contare le altrettante centinaia che dovranno ancora venire: in pratica c’è uno, in questo caso John Cusack, che deve salvare il mondo dall’imminente distruzione. Fine della trama. Eppure “2012” è un film che rivedo sempre, ogni volta in cui vi inciampo nel palinsesto: non so di preciso perché, ma è una storia a cui mi sono affezionata, ha senz’altro una buona regia, degli effetti speciali clamorosi (era il 2009, eh) anche se la sceneggiatura come immaginerete… (ha preso anche qualche premio però, suvvia).
Quello che mi piace di “2012” è il mescolone di buoni sentimenti fra cui spiccano dei piccoli momenti non troppo stucchevoli o citofonati (oppure sì, ma io sono una romantica, si sa). Fra questi momenti c’è la scena del riccone russo, personaggio che parte come il peggiore degli stronzi salvo migliorare durante la storia, che si immola per aiutare i propri figli a salire sull’arca che li porterà in salvo: in pratica si sbilancia, cade e finisce in un burrone profondo tipo milleottocento kilometri.
(scusate lo spoiler, ma se non l’avete ancora visto dal 2009, metteteci una pietra sopra)

Qui invece inizia lo spoiler se non avete ancora visto La La Land.

Perché un film che non c’entra assolutamente nulla, peraltro tendente al banale, dovrebbe ispirarmi un parallelo con un capolavoro candidato a 14 Oscar? Proprio per quella faccenda di sbilanciarsi per permettere a qualcuno di volare, cadere e morire perché qualcun altro possa vivere, sacrificio chiamatelo se vi va, io penso ad un più lirico “farsi trampolino” per qualcuno che si ama. Chiaramente nel recente musical non muore nessuno, oppure sì, muore ma solo in parte, ma quanto è importante -nel bene che si vuole a qualcuno- permettere all’altro di diventare ciò che è destinato a diventare, anche a discapito nostro?
Niente che non abbia già cantato Caterina Caselli, ora che ci penso.
(e quando andrò…)

Ma è così, e se ci pensiamo è bello come l’amore. Diversamente bello, ma bello.
Questo post vale anche come post di San Valentino.
Tanto vi dovevo,
LdC

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