poteva andare peggio!

Daniela Perdolotti.

9 Luglio 2011

Questo è il gentile soprannome con cui mio fratello mi apostrofò all'età di cinque anni, quando mi capitò di perdere un bracciale e che ha segnato da sempre questo mia infallibile capacità di lasciare qualsiasi cosa dappertutto.

Senza contare gli ombrelli, i caricabatteria del cellulare e un paio di jeans che non trovo più dal 1994, sono riuscita a perdere oggetti di ogni tipo e soprattutto valore. Nell'ultima settimana ho smarrito un paio di occhiali da sole e le chiavi della bicicletta, oltre ad un paio di bermuda neri che mia madre sostiene non possano essersi allontanati più di tanto dal mio armadio.
«Che non potevi mica tornare a casa in mutande» mi ha fatto giustamente notare.

Così mi è venuta in mente questa poesia e, pensandoci, son contenta che le cose che lasciamo andare sono quelle che, in fondo, possono esser smarrite senza problemi.


L'arte di perdere
di Elizabeth Bishop

L'arte di perdere non è difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall'intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.

Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell'ora sprecata.
L'arte di perdere non è difficile da imparare.

Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi, e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
Nessuna di queste cose causerà disastri.

Ho perduto l'orologio di mia madre.
E guarda! L'ultima, o la penultima, delle mie tre amate case.
L'arte di perdere non è difficile da imparare.

Ho perso due città, proprio graziose.
E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo, due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è stato un disastro.

Ho perso persino te (la voce scherzosa, un gesto che ho amato).
Questa è la prova. È evidente,    
l'arte di perdere non è difficile da imparare,
benché possa sembrare un vero (scrivilo!) disastro.

LdC

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