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La sindrome di Erode.

16 Luglio 2011

Che io non sia particolarmente attratta dal desiderio di diventare madre credo di averlo scritto in tutte le lingue, ormai. La convinzione non muta col passare degli anni e il sommarsi dei giudizi negativi, anzi, si rafforza e mi fa capire che probabilmente non sono tagliata per questo mestiere. Ci sta, viviamo tutti sotto lo stesso cielo ma non tutti abbiamo lo stesso orizzonte, diceva qualcuno, no?

Eppure l'altro giorno, in occasione della scomparsa prematura di una persona, ho sentito dire «almeno non ci sono bambini coinvolti in questa disgrazia» che, vabbè, può essere addirittura lapalissiano, ma mi sono ritrovata a pensare: se io morissi, la mia vita sarebbe valsa di meno solo perché non ho procreato? A parte che si può non fare in tempo… ma, come cantavano i Lynyrd Skynyrd: if I leave here tomorrow, would you still remember me?

Se io dovessi prematuramente dipartire domani, non resterebbe nulla a ricordarmi solo perché non mi sono riprodotta? E le gesta di cui vado tanto fiera? Il mio lavoro, il mio volontariato, il mio romanzo, il mio blog… non sono forse una sorta di figli, generati non dal mio grembo ma dal mio cervello? Ok, sono cose e progetti, non respirano e non piangono e non mi chiameranno mai mamma, ma sono usciti da me e alcuni hanno impiegato ben più di nove mesi prima di vedere la luce!

Quindi, a 'sto punto non ho scelta: mi auguro di starvi fra i maroni il più a lungo possibile, magari nel frattempo cambio idea e vi scodello due gemelli.
Al limite mi farò surgelare come Tom Cruise in Vanilla Sky.

LdC

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  1. Guarda, Ladra, sono nella tua stessa situazione (anche se i figli non li ho non per scelta ma perché è capitato così, se fosse capitato diversamente non avrei avuto problemi, prendo dalla vita quello che mi dà e non reclamo per ciò che non mi dà, chiusa parentesi). Eppure non penso che sia una scala di qualità, nel senso che quella frase, “almeno non ci sono bambini coinvolti”, secondo me è dettata solo dall’umana pietà. Perché davanti al dolore innocente e inconsapevole, come quello di un bambino che perde in tenera età la propria madre o il proprio padre o un fratellino, siamo talmente impotenti che perdiamo qualsiasi capacità di giudizio. Per quanto riguarda le persone coinvolte, gli adulti hanno maggior consapevolezza e soprattutto – almeno in teoria – hanno gli strumenti per elaborare il lutto. Un bambino no. Un bambino perde il punto di riferimento della propria sopravvivenza, perde il centro del proprio universo, e non capisce perché. Come fai a spiegare a un bambino, che a malapena si affaccia alla vita, che si deve morire?
    Ma c’è una cosa peggiore, secondo me, e lo dico (purtroppo) per l’esperienza avuta con ben 2 amiche carissime che si sono ritrovate in quella situazione: veder morire un figlio. Ché la morte di un genitore fa parte della natura delle cose, la morte di un compagno ti distrugge dentro e fuori ma prima o poi la elabori e ricominci a vivere, la morte di un figlio è uno spartiacque che apre un vuoto che niente e nessuno potrà anche solo vagamente cercare di riempire.
    Ecco, quello che volevo dire (scusa la prolissità e la pallosità) è che il problema vero non è aver procreato o meno: il problema vero è come si affronta il tema della morte dal punto di vista di chi sopravvive. E nient’altro. E soprattutto, niente a che vedere col valore della persona scomparsa. Anche la morte di una merda d’uomo muove a compassione per eventuali figli piccoli, ma ciò non toglie che fosse una merda d’uomo.
    Chissà se mi sono spiegata, a volte non mi capisco da sola…
    Lunga vita a te, a me, a noi.

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